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Ero solo a Fuerteventura

Furteventura, diario di viaggio.
Ero solo a Fuerteventura

Fa davvero caldo. Tutto ciò che circonda questo luogo emana calore, un calore insopportabile. La prima vista è sempre la stessa: il caldo e il deserto. È sempre questa la prima impressione che provo quando sbarco su quest’isola. Il caldo e la solitudine, tra queste montagne vulcaniche austere e silenziose.
Da fuori appare tutto così fantastico, tutto così perfetto, e quando lo racconto anche io lo vedo perfetto.
Sono esattamente dove avrei voluto essere. Su un’isola a cento chilometri dal Marocco, pronto, in attesa dei prossimi viaggiatori da accompagnare. Viaggiatori o vacanzieri, poco importa: sono loro a sentirsi quel che vogliono, ma sono io che mostrerò quello che mi emoziona.

Non vendiamo nulla qua. Con questo lavoro si perde tanto tempo e tante energie nel trovare i ristoranti giusti, gli hotel, i voli comodi... ma il vero senso, il vero obiettivo, è quello di condividere quello che per noi ha un senso, che scaturisce una sensazione di entusiamo. Almeno io lo vivo così. E quando me lo dimentico, perso nella confusione che ci circonda, scrivo queste due righe per ricordarmelo.

Ripenso alla prima volta che sono venuto sull’isola. Ero in vacanza, in compagnia di grandi amici, tra mare e surf.
La seconda volta invece sono venuto per lavoro: una settimana alla volta sull’isola per organizzare i trekking e le escursioni più belle.
Lì sì, tutto era perfettamente allineato. Ero proprio dove volevo essere. Mi sentivo un esploratore, e so benissimo che non c’è nulla da esplorare, tutto è già scritto, filmato, recensito; ma assicuro che, con il giusto impegno, mettendosi sulla strada, tutto acquisisce sapore di autenticità. Bastano gli occhi giusti.

Ricordo di quella settimana solo in esplorazione. 

I tramonti erano davvero colorati e accendevano l’ultimo attimo di giornata nella solitudine.
Ho dormito in tenda e in macchina, per scelta o no, non ha importanza, ma conta che ero contento in quel modo, mi sentivo me stesso, essenziale. Accendevo la radio mezz’ora prima di dormire, mentre preparavo il sacco a pelo.
Ero sempre da solo, il più possibile disperso.
Le stelle mi hanno sempre circondato. Le vedevo dal vetro del parabrezza finché non mi addormentavo.
Ho sempre dormito bene, incredibile.
Mi svegliavo all’alba, e sono sempre stato il primo a fare i cammini. Quando scendevo dalla montagna, i primi camminatori stavano salendo. Questo è, per me, sentirmi esploratore: sentirsi unico, preso da un luogo.

Quella è stata una settimana di ottima compagnia della solitudine.
Con il gruppo poi è andata benissimo. Ho lasciato l’isola guardandola dal finestrino e desiderando ardentemente di tornarci.
Questo sì è stato soddisfacente: un vulcano come ufficio, e poi una settimana di gruppo tra spiagge, ristoranti, canarini, dicendo:
“Hei, guardate, qui ho dormito. Stasera veniamo a vedere le stelle, che sono fantastiche.”
Per mia fortuna erano davvero belle, le stelle, ancor di più di quando ero lì da solo.

Oggi è diverso.
Oggi sono di nuovo sull’isola, e sono in un bellissimo momento di vita: tranquillo, sereno.
Posso godermi un giorno di solitudine, rivisitare qualche luogo, rilassarmi…
Eppure non trovo più quella bella compagna di viaggio.
La solitudine mi ha abbandonato, facendomi sentire solo.
Non riesco ad intrattenermi, ricerco ristoranti da prenotare, ma non trovo convinzione.
Ed è assurdo, perché è solo un giorno: da domani già arriverà il gruppo.
Eppure è così che mi sento.

Sono quei momenti in cui mi sento strano.
Perché esser qui da soli, quando tutti gli altri sono con amici e famiglia a godersi le vacanze?
È un lavoro strano, totalizzante, emozionante. Non sai come andrà.
Chissà se il gruppo sarà positivo e simpatico come l’altra volta.

Tutti dubbi inutili, che non servono, che appesantiscono e tolgono il bello di questo mestiere:
sentirsi esploratori in terre lontane.

E ho dovuto scrivere queste righe per ricordarmi chi sono, cosa volevo essere, e quanto sia bella questa isola calda e austera.
Dentro di me so benissimo quello che ci attende in questa settimana.
Ora non resta che indossare gli occhi giusti, dimenticare, e tornare a stupirsi insieme agli altri.
Semplicemente: condividere l’emozione del viaggiare.

E, come dico sempre, non farei mai questo lavoro in forma diversa.
Non viaggerei mai tanto per viaggiare.
Io sono qui per camminare, per dedicare una mattinata alla ricerca di qualche strana pietra scolpita dal vento, per salire su un vulcano, caldo e arido e girarci attorno.

Il micro dei passi che riempie il viaggio.

Alle volte non è facile ricordarsi il perché delle cose che si vivono.
Alle volte non è facile semplicemente accettare di sentirsi soli.
Ma quanto è bello svegliarmi e scoprire che sono qui, e che sono solo.
Sono triste, e domani non so…
E quanto bello è non sapere cosa penserò quando prenderò quel volo di rientro tra una settimana.

Questo non è solo un lavoro.
È un continuo viaggio lungo le strade che, di volta in volta, si aprono all’orizzonte.
Non è un lavoro, perché non c’è una porta che si chiude a fine turno, ma un tramonto e un’alba che segnano le giornate.

Scrivo queste righe perché, così, la prossima volta che sarò stanco e perso in qualche angolo roccioso, mi vorrei ricordare di quanta vita racchiude quel momento.
E che, se la solitudine mi lascia da solo ancora una volta… vorrei dire, va bene lo stesso.
La cercherò la prossima volta.

Frammenti di diario, in attesa del gruppo a Fuerteventura
19/07/25